
San Teodoro è una ridente località della piana di Oviddè, estremo lembo della Gallura che confina tramite la larga catena del Monte Nieddu con il Montacuto e la Baronia.
Luogo di grandi attrattive naturalistiche, ha saputo sfruttarle abilmente a livello turistico e oggi è tra le località della Sardegna più rinomate per il turismo balneare. Posto lungo la vecchia strada che univa Tempio Pausania con Posada, Oviddè è stato storicamente oggetto di contrasto tra questi due comuni (anche Terranova, oggi Olbia, in realtà avanzava pretese).
Il suo territorio di frontiera tra il dominio linguistico sardo-corso (lu gaddhuresu) e quello sardo comune (su sardu) ha creato una bellissima situazione di toponimia bilingue che rappresenta una ricchezza immensa. Tale situazione ibrida la troviamo anche a Olbia, Luras, Golfo Aranci, Budoni, e un po’ in tutti i territori di confine tra la Gallura e le regioni storiche di Montacuto e Anglona.
Tale contesto toponomastico bilingue, che ai più risulta affascinante e interessantissimo, evidentemente non piace a molti in paese, tanto che nel recente passato il comune di San Teodoro ha deliberato l’attribuzione ufficiale dei soli toponimi in sardo-corso, con l’istituzionalizzazione solo di essi e la condanna alla cancellazione per quelli espressi in sardo comune.
Questi ultimi, colpevoli di chissà quali efferate colpe, sono stati dunque eliminati dalla cartellonistica: Stràulas è diventato Straula, Monte Petrosu si è trasformato in Monti Pitrosu, generando anche confusione poiché ad esempio, dal lato di Porto San Paolo resiste giustamente il toponimo storico Monte Petrosu.
Particolarmente sensibile a queste tematiche, oltre che del tutto contrario alle competizioni linguistiche e refrattario alle guerre tribali tra domini linguistici sardi, ebbi modo di lamentarmi di questa incredibile decisione e mi fu risposto che oggi lì si parla gallurese e dunque giusto cancellare i nomi di luogo non espressi in tale idioma. A parte l’assurdo assioma – infantile oserei dire – che dunque se esteso a tutta l’isola porterebbe alla cancellazione dei preziosissimi toponimi prelatini, vecchi di migliaia di anni, poichè “oggi si parla un’altra lingua”, è interessante rilevare che la pena della cancellazione perpetua riguarda solo la toponomastica in sardo comune.
Toponimi opachi, non chiaramente in sardo, come Lutturai, Oviddè, Turrualè non sono stati oggetto di ghigliottina, che ha riguardato solo i nomi di luogo rei di essere troppo chiaramente sardi. Una sorta di “manifesto della razza” di fascista memoria applicato però non alle persone ma ai toponimi.
La pensa in maniera analoga il maggior studioso delle parlate sardo-corse del nord Sardegna, professor Mauro Maxia che dice a riguardo: “le decisioni del consiglio comunale di San Teodoro di cancellare i toponimi in sardo nel merito ricordano le decisioni del regime fascista, sarebbe bene che si muova qualche passo per evitare che la Gallura di Oviddè prenda strade già sperimentate in Istria, Dalmazia e Fiume“.
Lo stesso studioso perfughese va oltre al giudizio di opportunità su tali decisioni e ne sancisce l’assoluta irregolarità poiché “L’art. 13 della L.R. n. 22/2018 detta disposizioni sul ripristino delle denominazioni in lingua sarda e, in collaborazione con i comuni, provvede alla ricognizione e catalogazione del patrimonio linguistico e toponomastico.
L’art. 10 della legge 482/99 dispone che, in aggiunta (non in sostituzione), ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l’adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali”.
In aggiunta e non in sostituzione appunto! Ma non bastasse il danno enorme cagionato qualche anno fa con questa assurda decisione, oggi il comune di San Teodoro ci ricasca. Le scorse settimane sono stati sostituiti alcuni cartelli vecchi di decenni con i nomi di alcuni corsi d’acqua che solcano il territorio oviddese. Che essendo antecedenti alla mannaia anti-sardo di inizio millennio erano espessi nella forma storica: Pedriscone e Alzone. Evidentemente era giunto il momento di sostituirli. E si è ben visto dunque di approfittare dell’occasione per cambiare cartello e toponimo: ora compaiono solo nella forma sardo-corsa di Pitrisconi e L’alzoni.
Non è più accettabile questa maniera di trattare la toponomastica storica, usata come arma per sancire la vittoria di un dominio linguistico sull’altro, il quale – come marchio di infamia – dev’essere cancellato e dunque dimenticato quanto prima. Le solite vergognose guerre tribali tra sardi, che rappresentano il principale freno allo sviluppo dell’isola, poiché dividono il popolo sardo e lo stancano in estenuanti lotte di contrapposizione tra territori e tra lingue, di cui approfittano da sempre le volpi forestiere.
E dire che proprio da San Teodoro è arrivata recentemente una giusta lamentela. L’Eni ha infatti da tempo aperto alle lingue locali, prevedendo la possibilità che le comunicazioni dei distributori automatici di carburante possano essere espresse nelle lingue del posto. Per la Sardegna è stato considerato solo il sardo comune, escludendo dunque il dialetto gallurese.
L’Icimar di San Teodoro ha quindi richiesto di ovviare a tale ingiustizia e mi sento sinceramente d’accordo con tale rimostranza: anche le parlate sardo-corse hanno il diritto di avere impieghi di questo tipo, che permettono di sollevare il livello di tutela, dando una rilevanza maggiore ad esse. Al pari del sardo comune.
Le parlate della Sardegna devono essere alleate tra loro, non in contrapposizione. Sono lingue sorelle, che condividono buona parte del patrimonio lessicale storico dell’isola, e spesso si aiutano reciprocamente proprio nell’arricchimento del lessico con bellissimi fenomeni di adstrato. Da buone sorelle non devono essere in perenne competizione tra di loro, ma deve prevalere il principio di complicità. Nessuna battaglia per la definitiva imposizione di una sull’altra quindi, neanche se essa passa per una cancellazione – inopportuna, infantile ma soprattutto contro la legge – della toponomastica storica dei territori.
Spero vivamente in un pronto ravvedimento del comune di San Teodoro, senza il bisogno di tentativi di giustificazione che possano invece cercare di avvalorare una maniera di agire che è chiaramente sbagliata e inopportuna. Secondo Maxia dovrebbe intervenire direttamente la Regione con l’Assessorato competente, al fine di ristabilire la parità di trattamento dei toponimi bilingue. Io penso invece che tra persone adulte non ci sia bisogno di interventi di censura
dall’alto. Con il dialogo si può ovviare e persino rilanciare, sancendo una sacra alleanza tra i domini linguistici del sardo-corso e del sardo-comune per combattere in modo più efficace la battaglia per la sopravvivenza che riguarda entrambi. Basta guerre tribali, torniamo al “Fortza Paris”. O “tutti insembi” che si voglia dire…
Roberto Mette



