Al di là della propaganda di entrambe le parti, nessun analista onesto e non schierato può non scorgere nel conflitto in Ucraina una lotta armata di supremazia, combattuta dal blocco occidentale formato da Unione Europea e Stati Uniti, contro il blocco orientale formato da Russia e Cina. L’Ucraina, in tal contesto, è alla fine un semplice casus belli, un mero terreno di scontro, con i due schieramenti che in pratica si contendono il diritto di reprimere il Luhansk e il Donetsk a loro piacimento.
Prima lo ha fatto per anni l’Ucraina, e conseguentemente protestava la Russia a difesa delle popolazioni russofone che ci abitano, tanto da arrivare a stipulare due separati Accordi di Minsk, mai del tutto applicati e rispettati da Kyev. Ora che lo fa la Russia a suon di bombardamenti, protesta e si oppone con le armi l’Ucraina, in quanto territori di pertinenza di quest’ultima, evidenziando l’invasione di lande altrui, come se chi ha la giurisdizione su determinati territori può arrogarsi il diritto di eseguirci operazioni militari a discapito dei civili!
Nella realtà il conflitto ucraino non è che la tragica applicazione pratica delle frizioni crescenti negli ultimi anni tra le due visioni economiche contrapposte: quella delle storiche democrazie occidentali e quella dei governi monopartitici e oligarchici dei due compagni di merenda Russia e Cina. Con il nodo che ora è arrivato purtroppo al pettine! Portandosi dietro però altri nodi analoghi sparsi per il mondo. La guerra in Ucraina è infatti la sola punta dell’iceberg, ossia la parte visibile di un conflitto ormai globale che si manifesta anche in situazioni meno conosciute, e spesso non riconosciute.
È di qualche settimana fa la notizia del riacuirsi dei contrasti etnici in Nagorno Karabakh.
Enclave a maggioranza armena all’interno dell’Azerbaigian, al seguito della dissoluzione dell’Urss, si era dichiarato indipendente dal governo azero, e seppur non riconosciuto dalla comunità internazionale, l’appoggio dell’Armenia, a sua volta aiutata dalla Russia, ne aveva di fatto garantito la sostanziale autonomia. Dopo un’offensiva azera nel 2020 che aveva ridotto al mimino, ma non del tutto sconfitto, il potere degli indipendentisti armeni, tre settimane fa il territorio ribelle è stato definitivamente annientato, e così il sogno di indipendenza della minoranza armena, ora destinata alla diaspora. Senza alcun intervento esterno, stavolta. Perché? Perché la Russia ha voluto far pagare all’Armenia la sua posizione pro-Nato simile a quella dell’Ucraina, con il governo di Erevan che ha partecipato ad esercitazioni militari congiunte con gli USA.
Inoltre a Putin conviene sostenere l’Azerbaigian, poiché esso rappresenta il corridoio di collegamento con l’Iran, paese molto vicino, come si vedrà nel dettaglio, alle posizioni russe. Ma neanche l’occidente è intervenuto a difesa dell’etnia armena oggi assai vicina alle posizioni atlantiste, non andando oltre ad un patetico ed inoffensivo ammonimento agli azeri. I motivi sono prettamente economici: l’Unione Europea ormai dipende dal gas azero, che tramite il Corridoio meridionale del gas, dall’Azerbaigian arriva in Puglia, e che potrebbe diventare, a breve, il nuovo Nord Stream; Ursula Von der Leyen nel luglio 2022 ha siglato con il presidente azero un importante accordo sul gas proprio per diversificare le forniture comunitarie e renderle meno dipendenti da fornitori ora ostili come appunto la Russia. L’Azerbaigian è rilevante anche a livello geo-strategico perché attraversato dalla Rotta internazionale di trasporto trans caspica (Titr). Ecco i perché della recente azione azera e della posizione passiva di Russia e Nato. Infine, la Turchia, paese NATO, appoggia il governo azero, al fine di rendersi indipendente dal petrolio russo e iraniano, mediante un collegamento diretto con il Turkmenistan, che deve passare appunto per l’Azerbaigian.
E’ di pochi giorni fa invece la rappresaglia sanguinosa di Hamas, sostenuto dall’Iran, verso il nemico storico Israele. Che ovviamente, come per la disputa in Nagorno Karabakh, non è arrivata per puro caso in questo preciso momento. Trattasi al contrario della prontissima reazione alla notizia di un imminente accordo storico tra Israele e Arabia Saudita, che al di là delle parole al miele della politica ebraica circa la normalizzazione dei rapporti tra vicini di casa, nasconde un’accelerazione degli Stati Uniti sulla creazione di un’alternativa al progetto della Via della seta, sviluppato qualche anno fa dalla Cina. Progetto che – non senza polemiche e forti lamentele americane – era stato sotoscritto anche dall’Italia dei duo DiMaio-Salvini, unico stato del G7 ad aver aderito, e oggi scaricato dalla neo-atlantista Giorgia Meloni, che con molto tatto lo ha comunicato alla Cina alla recente riunione del G20. Per contrastare tale progetto cinese – oggi denominato Belt and road initiative, che concedendo prestiti ai paesi in difficoltà quasi più del F.M.I., praticamente ne rappresenta un clone in versione orientale – gli americani hanno pensato ad un corridoio economico che collegherà India, i paesi arabi, Israele e l’Europa, mediante un’infrastrutturazione che permetta di agevolare il trasporto di beni e merci dall’occidente fino ai confini con il nemico cinese. Per far ciò, gli USA hanno però bisogno di stipulare accordi con l’Arabia Saudita, anche per il tramite dell’alleato israeliano, facendo finta di dimenticare la guerra nello Yemen, l’uccisione in serie dei dissidenti politici e altre barbarie di cui Ryad si è resa protagonista. Lo stesso Biden ha fatto più di una pressione a favore dell’accordo Arabia-Israele: appena pochi giorni fa due suoi alti consiglieri, Brett McGurk e Amos Hochstein, sono giunti a Ryad per imprimere un’accelerazione al patto.
Nell’ambito dell’accordo, che contempla eventuali concessioni di Israele in Cisgiordania e a Gaza, gli Usa garantirebbero la vendita di armamenti ad alta tecnologia agli arabi, e lo sviluppo del nucleare civile. La recrudescenza del conflitto tra Hamas e gli israeliani, con la carneficina di questi giorni, è dunque anch’essa conseguenza del conflitto tra Usa e Europa da una parte, e Cina e Russia dall’altra. In cui l’Iran, mandante dell’esplosione di violenza dei palestinesi, non è assolutamente spettatore neutrale. La guerra in Ucraina ha infatti portato a livelli di cooperazione tra Russia e Iran mai visti prima. Il governo di Teheran fornisce Putin i droni usati in Ucraina, tra cui i Mohajer-6 e gli Shalrd-136/131. C’è poi il sostegno politico che l’Iran fornisce a Mosca nei tavoli internazionali come l’Onu e, aspetto non secondario, quella che gli analisti definiscono come integrazione delle autocrazie: un avvicinamento per proteggersi dalle minacce interne.
Ne è un esempio l’accordo, approvato nell’estate 2022 dal parlamento iraniano, per la cooperazione con la Russia sulla cybersicurezza mediatica e intelligence, e il sostegno iraniano alle basi militari russe in Siria. E bisogna considerare pure l’accordo sullo sviluppo nucleare tra i due paesi e il progetto del cosiddetto Corridoio Nord-Sud, pensato un ventennio fa, che in virtù dei vari pacchetti di sanzioni economiche verso la Russia a causa dell’invasione in Ucraina, è ora più che mai strategico per Putin. Trattasi dunque di focolai di guerra a prima vista slegati tra di loro, ma appunto solo apparentemente.
Al contrario sono tutti collegati a doppio filo a questa furiosa competizione tra i blocchi orientali e occidentali, che sta determinando anche alcuni rovesciamenti violenti di governo in più di un paese africano. Dietro ciò che è stata definita come la stagione dei golpe, che dalla fine dello scorso anno ha coinvolto Burkina Faso, Niger, Gabon e Sudan, c’è sempre e sistematicamente un brusco movimento voluto da uno dei due schieramenti in questione. Che come nella tettonica delle placche, si muovono come zolle convergenti generando movimenti tellurici assai violenti. Importante saperlo per capire meglio la specifica situazione geopolitica in cui siamo, e cercare di prevederne sviluppi futuri, anche in ambito economico, dove la nostra Sardegna fa da sempre il vaso d’argilla in mezzo a vasi di ferro!
Roberto Mette