
Scrive Roberto Mette: «È necessario rivedere la rappresentazione della nazione sarda all’interno del contenitore statale italiano, promuovendo un’alleanza con le altre componenti minoritarie per porre fine alle tendenze neocentraliste».
È dello scorso novembre la disputa, pubblicata sul Corriere della Sera, tra il giornalista Aldo Cazzullo e il nostro illuminato storico Francesco Casula, autore, tra le altre cose, di un puntuale resoconto sulle nefandezze e le atrocità dei regnanti italici in Sardegna, che il professore sardo, meglio di un abile predicatore, sta pazientemente e puntigliosamente facendo conoscere in tutta l’Isola.
Motivo del contendere, la solita – e falsamente ingenua – meraviglia dell’intellettuale medio italico riguardo il fatto che una parte dei sardi non avverta tutto questo entusiasmo nel definirsi italiano. L’ormai inflazionata e noiosa pretesa che i sardi debbano sentirsi onorati di essere inclusi nel “cerchio magico” italiano, e che quindi nessuno possa mettere in discussione l’adesione dei sardi a tale insieme, considerato – in un eccesso di autoreferenzialità – nobile e illuminato, praticamente irresistibile. Cazzullo non è il primo – e non sarà l’ultimo, credo – ad esternare un cruccio furbesco, nello stile del “come fate a respingere cotanto fascino”, su chi mette in dubbio l’appartenenza alla nazione italiana.
L’espressione che ha dato luogo al botta e risposta con Casula è emblematica: Cazzullo si sente amareggiato al pensiero che esistano italiani, nel caso specifico sardi, che vorrebbero abbandonare lo Stato costruito e difeso a prezzo di molto sangue. Rammarico strategico, appunto, in aggiunta alla solita stucchevole retorica sul sangue versato per la patria, a cui Francesco Casula risponde per le rime, affermando che non ci sono motivi di dispiacersi dato che noi sardi siamo sardi e non italiani. Cittadini italiani si, però di nazionalità sarda.
Ma la stoccata più efficace Casula la imprime quando manifesta l’impressione che Cazzullo confonda Stato con Nazione. Ben intuendo che il suo interlocutore sa correttamente la differenza, ma ha convenienza a ignorarla. E da li in scioltezza il nostro sommerge il malcapitato giornalista ribadendo che noi sardi siamo da sempre una nazione: per storia, diversa e dissonante rispetto alla coeva storia italiana, per lingua (nata quasi tre secoli prima della lingua italiana e per più di 400 anni lingua ufficiale delle istituzioni sarde), per usi e costumi.
La lettera di Casula si trasforma infine in un vero e proprio manifesto politico quando conclude affermando che non si configura alcun abbandono, appunto perché la nostra patria è la Sardegna e non l’Italia. E che il sentimento nazionale sardo è oggi presente fra i sardi, con buona pace di chi ha sempre tentato di snazionalizzarci e desardizzarci.
Ecco che come un fiume carsico, riemerge – grazie a questa disfida sul Corriere – la periodica disputa concettuale tra la nozione di stato e quella di nazione. Casula nei giorni successivi ci mette del suo, prodigandosi in un interessantissimo excursus storico sulla nazione sarda, riconosciuta unanimemente nel corso dei secoli fino alla “fusione perfetta” del 1847.
Da quel momento in poi, tale certezza storica inequivocabile verrà piano piano diluita e disgregata subdolamente dallo stato unitario italiano, sopravvivendo purtroppo solo come concetto astratto nell’ideologia sardista, dalla nascita del PSd’Az in poi. Fino ai nostri giorni, dove, mi spiace smentire l’ottimismo di Francesco Casula, con la desardizzazione ormai avanzata della nostra terra, venendo a mancare il più evidente elemento distintivo, la lingua, pochi oramai rilevano la sostanziale differenza tra la nazione sarda e quella italica, tanto che non si risparmiano i sorrisini stolti verso chi parla di nazionalità sarda. Mancando la percezione di differenti nazionalità, automaticamente il concetto di Nazione si sovrappone esattamente a quello di Stato. E dunque “uno è lo Stato, una la Nazione, uno è il popolo” e tra un po’ “una è la lingua”!
Stante questo contesto, è importante insistere nel diffondere il più possibile, specie sui social – agorà del terzo millennio – la rappresentazione della nazione sarda all’interno del contenitore statale italiano. Evitando estremismi e posizioni border-line tipici di un settarismo divisivo e inconcludente, e cercando invece di coinvolgere pure ambiti politici e culturali lontani da posizioni indipendentiste. Non è conveniente in questo specifico ambito temporale appena esposto, mettere in dubbio il “contenitore”, piuttosto meglio evidenziare il carattere multiforme del “contenuto”. Probabilmente in questo preciso momento storico ciò è più funzionale ed utile a qualsiasi tentativo di emancipazione della nazione sarda, di qualsiasi fattispecie potrà essere.
È preferibile quindi definire in maniera dettagliata e precisa (di modo da non lasciare adito a posizioni soggettive, concetti fumosi e dunque veder tutto diluito nell’indefinitezza) quali e quante nazioni sono presenti oggi all’interno dello stato italiano. In tale impegno, mi pare di poter riconoscere tre nazioni e tre minoranze nazionali estere. Tra le nazioni individuo facilmente quella preponderante italica, quella sarda e quella friulana/ladina. Oltre alle tre minoranze nazionali estere: tedesco-tirolese, slovena e francoprovenzale. Non mi sento di riconoscere come entità a sé Veneto e Sicilia, linguisticamente e culturalmente italiche, ne tanto meno la nazione padana, teorizzata per velleità meramente elettorali, che paiono oggi superate.
Sulla base di ciò, si potrebbe elaborare una ben definita progettualità politica tesa a contrastare le attuali ventate di neocentralismo dello stato italiano, che mai come stavolta è sostenuto da buona parte della nomenklatura e dell’intellighenzia italiana, non ultimi i salotti della sinistra. Appunto evidenziando la condizione sostanziale – seppur non formale e ufficiale – di stato plurinazionale della Repubblica italiana. Finanche sottolineando il fatto che a queste sei divisioni nazionali corrispondono quasi fedelmente sei lingue diverse (italiano, sardo, retico, tedesco, sloveno, francoprovenzale). Elemento determinante se si considera la percezione di comunanza tra lingua e comunità del cittadino medio.
Il passo conseguente dovrebbe essere un’alleanza strategica delle cinque componenti nazionali minoritarie, in contrasto alle prevaricazioni di quella ampiamente maggioritaria, aspirante egemone. Il sardismo dovrebbe a tal fine compattarsi, estromettendo l’egocentrismo e il falsosardismo per convenienza, per creare una classe politica capace di interloquire costantemente con le altre nazioni presenti nello stato italiano, promuovendo un patto politico e elettorale che contrasti le ormai palesi tendenze centripete dello stato italiano.
Roberto Mette