In Barbagia, ad Oliena, vive un’artista pasticciera che produce dei veri e propri gioielli in pasta di mandorle, raffinatamente decorati con le sue mani di fata. Il suo nome è Anna Gardu, e da quattro generazioni tramanda la tradizione dell’arte dolciaria sarda. Durante una chiacchierata, le sue parole ci hanno catapultati nei nostri ricordi di bambini, quando intorno ad un tavolo tutti insieme guardavamo la nonna tirare la pasta e grattugiare quegli agrumi che avrebbero dato il profumo al nostro pranzo pasquale.
Anna Gardu è stata chiamata a pensare ad uno dei momenti più toccanti del calendario cristiano: la via Crucis. Ad Irgoli, centro che conserva intatte le numerose tradizioni tra le quali emerge la Santa Spina, l’artista è stata chiamata a realizzare quindici tavole che documentano il percorso doloroso del Cristo. Un’ultima tavola (la sedicesima) rappresenta la Sacra Spina di Irgoli.
Le Sante Spine di Irgoli
E’ un tratto distintivo di questa comunità che la conserva nella chiesa parrocchiale di San Nicola: la tradizione dice che quella è appartenuta alla corona di spine che ha cinto la testa di Gesù nel momento della Crocifissione.
La mostra
Sabato 8 aprile alle 18 verrà inaugura
ta la mostra sulla Via Crucis di Anna Gardu. La mostra si terrà nella chiesa di Santu Miali a Irgoli. Ci sarà anche il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, da sempre grande estimatore dell’arte di Anna Gardu, e il consigliere regionale Franco Mula. L’incontro sarà moderato dal giornalista Antony Muroni.
L’intervista de L’Amsicora ad Anna Gardu
C’è grande curiosità sulle opere che verranno esposte nella mostra sulla via Crucis. Può anticipare qualcosa su ciò che si potrà ammirare a Irgoli?
Si tratta di una Via Crucis reali
zzata su tavole di croccante, questa volta a colori. Il percorso di Cristo si articola in 15 tappe e l’ultima rappresenta la leggenda delle Sante Spine di Irgoli.
Lei proviene da una famiglia di grande tradizione a livello dolciario. Nella sua vita, però, faceva tutt’altro a un certo punto. Come è nata la “svolta” che le ha permesso di tornare alle origini?
Provengo da una famiglia che da quattro generazioni ha fatto sempre dolci tradizionali. Io, in effetti, sino ai 27 anni ho fatto tutt’altro. Lavoravo a Cagliari, e poi ad un certo punto hanno iniziato a riemergere nella mia mente i ricordi d’infanzia nel laboratorio di mia nonna. Ho continuato il mio percorso di vita facendo esperienza di lavoro anche all’estero per poi rientrare a Nuoro e aprire un ristorante. Però c’era sempre quel qualcosa che mi riportava ai ricordi dell’infanzia e così mi sono cimentata nella lavorazione della pasta di mandorle e mi sono resa conto che si prestava ad essere plasmata. Questo mi dava la possibilità di soddisfare quello che era il mio estro artistico che era indirizzato verso la ceramica e i gioielli. Così è nato un percorso dolciario del tutto particolare che ho anche brevettato perché si trattava di pezzi che non esistevano ancora. Ho ripercorso la tradizione di famiglia innovandola nelle forme, dando ai dolci un nuovo linguaggio che mi permettesse di fare un percorso artistico.
Le doti manuali per realizzare delle opere di così grande pregio artistico sono esclusivamente un “dono della natura”? Quanto peso invece hanno invece lo studio, la ricerca, l’allenamento nella manualità?
La manualità, oltre ad essere un dono, è dovuta anche da una grande passione che ho per la tradizione e il territorio.
Ha esposto le sue realizzazioni in contesti altamente prestigiosi in tutto il Mondo. Qual è stato il riconoscimento che l’ha resa maggiormente orgogliosa?
In realtà uno fra i tanti che mi è rimasto impresso è stato quello ricevuto durante la mia visita in Giappone. Mi hanno trovata sui social e mi hanno invitata ad un convegno internazionale che parlava proprio dell’artigianato artistico. E’ stata per me un’esperienza artistica sorprendente. Una volta arrivata lì ho scoperto che l’unica opera dolciaria esposta era la mia. Mi hanno definita unica nel mio genere, è stato motivo di orgoglio.
Qual è invece la creazione realizzata in questi anni che meglio incarna il suo spirito e i principi che l’hanno portata a intraprendere questo percorso?
Ogni mio lavoro è una sorpresa anche per me quando lo porto a termine, non c’è niente di progettato. Anche se la mia prima mostra che parlava dell’identità mi ha permesso di rappresentare la realtà di tanti territori sardi. Ho sviluppato ancora di più la mia passione per la Sardegna.
Il Prof. Sgarbi è un grande ammiratore della sua arte. Com’è nata la vostra conoscenza?
Ho la fortuna di essere stata notata da lui. Mi notò nel 2015 a Nuoro, durante la sua visita per la ricerca di artisti da invitare all’expo. In quel momento i miei dolci erano in esposizione a Nuoro. Volle conoscermi e mi invitarono all’Expo dove le mie opere vennero esposte alla mostra “I tesori d’Italia”.
Ritiene che il sapere tradizionale in ambito dolciario sia d’interesse per le nuove generazioni? O c’è il rischio che venga abbandonato?
Perché non esista questo rischio si dovrebbero evitare certi corsi che propongono materie prime che non appartengono alla nostra tradizione, tipo la pasta di zucchero. Io ho l’intento di creare la scuola del dolce tradizionale. Mi è capitato di insegnare a bambini piccoli, anche ad uno di appena 3 anni. Mi stupì, fu il più bravo. Questo insegna che i ragazzi sono spugne pronte ad imparare, spetta a noi adulti indirizzarli.
Questo tema si lega con una delle sue battaglie, ovvero l’istituzione di una scuola regionale del dolce sardo. A che punto siamo? Ha riscontrato sensibilità in tal senso a livello istituzionale?
Sono riuscita a chiedere una legge a tutela del mandorlo autoctono che verrà presentata in consiglio regionale. Oltre questo ci saranno dei contributi per le imprese singole e aggregate per la realizzazione di iniziative relative alla coltivazione e trasformazione delle materie dolciarie. A quel punto si potrà ottenere anche un marchio di tutela e di garanzia.
E’ probabilmente paradossale il fatto che i dolci di mandorle in Sardegna, così legati alla tradizione, vengano realizzati attraverso l’utilizzo di mandorle provenienti da molto lontano. Perché è così complesso tutelare la mandorla sarda autoctona? Anche in quest’ambito, a quali risultati ha portato il suo impegno?
Il mio impegno dal 2010 ad oggi è legato al fatto che ogni paese in Sardegna ha almeno un dolce fatto in pasta di mandorle. Ovviamente, non avendo abbastanza materia prima nel territorio, queste vengono importate. E molte volte viene importata la pasta di mandorle già pronta. La Sardegna ha sempre avuto la sua materia prima, ma purtroppo è stata abbandonata la raccolta perché poco redditizia. La mia lotta consiste nel valorizzare il prodotto dolciario e portarlo ad un prezzo da prodotto di nicchia che possa ripagare la materia prima.
Alice Sassu