L’«Affaire Colonna» riguarda tutti noi

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Il militante indipendentista corso è stato quasi ucciso in carcere dopo una vicenda giudiziaria grottesca. In Corsica infuriano le proteste, e i sardi hanno il dovere di non voltarsi dall’altra parte.

Succede tutto a pochi chilometri da qui. I sardi non sembrano interessarsene più di tanto, anche perché l’agenda setting dei media italiani la relega a poche righe superficiali. Ma ciò che sta accadendo in questi giorni in Corsica ci riguarda da molto vicino. Così come riguarda ogni singolo popolo, ogni nazione senza Stato che aspiri all’autodeterminazione e alla libertà.

Da Ajaccio a Corte, da Bastia a Calvi: nell’Isola gemella infuriano gli scontri tra i militanti indipendentisti e le forze di polizia francesi. Il motivo ruota intorno alla figura di Yvan Colonna, attivista politico corso condannato all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso, nel 1998, il prefetto Claude Erignac.

IL FATTO – Colonna si trovava ad Arles, in carcere, sottoposto al regime “DPS” (detenuto particolarmente sorvegliato). Lo scorso 2 marzo – secondo la versione delle autorità transalpine – sarebbe stato aggredito da un altro detenuto, Franck Elong Abé, camerunense condannato per vari reati. Quest’ultimo avrebbe aggredito Colonna per aver offeso la sua fede islamica, picchiandolo per almeno otto minuti e riducendolo in fin di vita.

LE CONSEGUENZE – La reazione dei corsi non si è fatta attendere. Da subito sono iniziate le manifestazioni di protesta nei confronti dello Stato francese, reo di non aver fatto abbastanza per difendere Colonna dall’aggressione. Il 7 marzo a Corte si è tenuta una manifestazione che ha visto partecipare i sindacati studenteschi e diverse centinaia di giovani. Altri cortei organizzati nei giorni successivi sono poi sfociati in disordini urbani. A Calvi, in particolare, si è registrato un lancio di molotov contro la sottoprefettura. La Francia ha risposto inviando in Corsica degli agenti anti sommossa, ma l’attracco della loro nave, partita da Tolone, è stato impedito dal sindacato dei lavoratori marittimi.

Anche il presidente corso Gilles Simeoni ha preso una dura posizione decisa nella vicenda, definendola uno scandalo di Stato. Da giorni, inoltre, chiede “verità e giustizia” per Colonna.

I moti di protesta, però, non si sono minimamente placati e proseguono anche in queste ore.

I PERCHE’ – Per quale motivo i corsi hanno reagito con quest’impeto? Un osservatore distratto potrebbe pensare a un classico regolamento di conti tra carcerati, condito tutt’al più dalla negligenza della polizia. Ma la vicenda, in realtà, ha contorni ben più torbidi, e – secondo molti – somiglia tanto a una una fredda vendetta di Stato.

Per comprendere l’“Affaire-Colonna” è necessario riavvolgere il nastro e tornare alla fine degli anni ’90.

Il 6 settembre 1997 un commando armato assalta la gendarmeria di Pietrosella (Corsica del Sud) e sottrae due pistole automatiche. Una di queste armi viene utilizzata, il 6 febbraio dell’anno successivo, per uccidere il Prefetto di Corsica Claude Erignac ad Ajaccio.

La reazione dello Stato francese è veemente, e la ricerca dei colpevoli diviene quasi una questione sacra. Sotto la spinta massiccia dell’opinione pubblica, in un clima da caccia alle streghe, in Corsica fioccano interrogatori e arresti preventivi di centinaia di persone costrette a trascorrere dei lunghi mesi in carcere. I colpevoli, però, non saltano fuori.

La tensione sale alle stelle: il 3 maggio del 1999, le autorità francesi riconoscono addirittura di essere stati i mandanti dell’incendio al ristorante “Chez Francis”, appartenente a uno dei sospettati.

Il 21 maggio, il cerchio si restringe su 7 persone (4 uomini e 3 donne), che vengono arrestati e tenuti in custodia. Due giorni dopo, tre di loro confessano il coinvolgimento nell’omicidio Erignac di un’altra persona: Yvan Colonna, nome già noto alle forze di polizia francesi.

Originario di Cargese, Colonna è figlio di un ex deputato socialista. Dopo gli studi a Nizza, nel 1981 torna nella terra natia per dedicarsi all’allevamento e, parallelamente, milita in vari movimenti indipendentisti considerati vicini al FLNC. Si sospetta il suo coinvolgimento in alcuni attentati, ma senza alcuna prova. E così accade anche nel caso dell’omicidio Erignac. Colonna, infatti, viene accusato nonostante sia attestata da più testimoni la sua presenza a Cargese la sera dell’omicidio. Le prove, in buona sostanza, non ci sono neanche in questo caso, ma, per le autorità francesi, Colonna è il capro espiatorio perfetto. Il nemico ideale da dare in pasto all’opinione pubblica in un momento delicatissimo, in cui le istanze indipendentiste corse si stanno rinforzando e l’attività repressiva è divenuta più urgente.

Comprendendo le difficoltà nell’ottenere un processo equo, e temendo soprattutto per la sua incolumità, il 26 maggio 1999 Colonna fa perdere le sue tracce tra le montagne della Corsica. La sua latitanza dura quattro lunghi anni, fino a quando l’astro nascente della politica francese, Nicolas Sarkozy, decide di puntare sulla sua cattura per scalare le gerarchie politiche, passando dal Ministero della Giustizia alla Presidenza della Repubblica. Gli sforzi si moltiplicano, e, finalmente, il 4 luglio 2003 alcuni funzionari di polizia bloccano in una fattoria Yvan Colonna, che non oppone resistenza all’arresto.

IL PROCESSO – La vicenda giudiziaria assume fin da subito contorni quasi grotteschi. Colonna affermerà sempre la sua innocenza, confermata già nel 2000 pure dai suoi accusatori iniziali. Lo scenario che lo coinvolge è smentito da una serie di elementi materiali e dalle deposizioni dei testimoni oculari, che non riconoscono in alcun momento Colonna come uno dei partecipanti all’omicidio.

Le accuse nei suoi confronti sono piene di incompatibilità sulle quali, però, polizia e magistrati sorvolano. Tutti gli elementi raccolti durante l’indagine scagionano l’indipendentista corso, che – tuttavia – nel 2007 viene comunque giudicato colpevole e condannato all’ergastolo.

Nel suo processo, come sottolineato da numerosi osservatori, mancano totalmente alcuni imprescindibili cardini del diritto: la presunzione d’innocenza, la separazione dei poteri (viste le numerose e conclamate pressioni politiche sulle autorità giudiziarie) e il rispetto del segreto istruttorio. In molti sostengono che la sua condanna arrivi, più che altro, in ossequio alla “ragion di Stato”.

LA DETENZIONE – Dopo varie altre destinazioni, Colonna viene rinchiuso nel carcere di Arles, dove viene sottoposto a un regime particolarmente duro. Prima della condanna, tra il 2003 e il 2004 subisce un isolamento totale ed è costretto a vivere in una cella di 9 metri quadri per 23 ore su 24. Viene privato praticamente di tutto: le uniche visite concesse inizialmente sono quelle del figlio minorenne, mentre gli altri parenti dovranno attendere due anni prima di ottenere udienza. Per anni chiede di poter essere tradotto in una struttura carceraria più vicina a casa, ma non ottiene i risultati sperati. A Colonna è assegnato lo status di DPS, ma – nonostante ciò – lo scorso 2 marzo viene brutalmente aggredito da un detenuto legato al terrorismo jihadista. Solo dopo 8 lunghi minuti la polizia carceraria interviene in suo soccorso. Una circostanza che è parsa molto sospetta ai più.

I corsi hanno vissuto la vicenda come la classica goccia che fa traboccare il vaso. Colonna non ha avuto né verità, né giustizia, ed è quasi morto mentre era nelle mani dello Stato francese. Si tratta di una vicenda dolorosa e allarmante, che non riguarda solo i corsi, ma tutti i popoli che inseguono la libertà. Sardi compresi.

Roberto Rubiu

 


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