“Lu mundu a lu riessu” è lo slogan del Carrasciali di Tempio del 2023. Ma più che uno slogan goliardico, sembra davvero lo specchio dei tempi, un riassunto della realtà odierna in Sardegna.
Mi riferisco alla recente chiosa del deputato sardo Salvatore Deidda, che ha comunicato un suo prossimo intervento in parlamento per rivitalizzare la lingua sarda. Davvero il mondo che si capovolge. Deidda è infatti da anni esponente del partito ultranazionalista italiano di Fratelli d’Italia, ossia quella parte politica che porta avanti il culto della nazione italica, e che quindi quello che in teoria dovrebbe essere refrattario a qualsiasi espressione linguistica e culturale non riconducibile all’ambito italiano.
Ovviamente non c’è da sorprendersi per questa dichiarazione di intenti per due ordini di motivi. Innanzitutto perché in Sardegna è ancora viva, seppur non in ottima salute, la concezione di sostanziale diversità dei sardi, e tale caratteristica, essendo diffusa, se stimolata, potrebbe portare tanti voti. E tutti i politici lo sanno! Inoltre c’è da considerare che spesso l’ideologia non è tutto. Contano anche gli affetti, il legame con il territorio, l’amore per il posto in cui si è nati.
Basta il ricordo di una nonna che non c’è più e il suo parlare in sardo, per stimolare in qualsiasi sardo, l’idea romantica del preservare l’idioma storico della Sardegna. Al di là di questo però c’è da sorprendersi per il fatto che le iniziative politiche sulla lingua sarda vengano da chi non ti aspetti, mentre chi ti aspetti, pur essendo parte rilevante dell’attuale
governo sardo, poco fa per il nostro idioma millenario.
Parlo infatti dei sardisti. Con l’enorme successo del PSd’Az alle elezioni del febbraio 2019, ci si aspettava una crociata perentoria su lingua sarda, cultura sarda in generale e sulla storia della nostra isola. Invece solo alcune iniziative estemporanee, qualche posticino di lavoro negli sportelli linguistici, e poco altro.
E ora appunto il mondo si capovolge: i sardisti ignorano la lingua sarda, ad essa ci pensano i nazionalisti italiani. Ovviamente la critica non è destinata solo al PSd’Az, ma all’intero mondo identitario sardo. Incapace di fare gruppo, e questo lo si sa da sempre, ma incapace addirittura di creare alleanze di scopo pro tempore che portino a creare un consenso diffuso riguardo una specifica iniziativa per poi – a scopo raggiunto – continuare ognuno per la propria strada.
Recentemente il nostro storico Francesco Casula si è lamentato dell’oblio a cui è sottoposto il sardo Sigismondo Arquer, mentre un personaggio storico che ha avuto una vita simile alla sua, Giordano Bruno, è assai più conosciuto e celebrato. Casula indica il fatto, e se ne lamenta, ma non indaga sui motivi. Gli italiani sanno fare lobby in tantissimi ambiti. E in Italia esistono lobby culturali che diffondono idee, preservano la memoria storica, magnificano – spesso anche
oltremodo – e celebrano i loro grandi personaggi.
La stessa massoneria si occupa con piacere di creare tali culti. In Sardegna questo non avviene. Già l’idea che ci siano sardi più “grandi” di altri, al sardo non va giù, abituato alla perenne competizione tra sardi. In più in Sardegna é assai
difficile fare gruppo. E quindi non si crea un lobbismo culturale che diffonde la conoscenza dei nostri “grandi” e porta ad un sentimento nazionale di ammirazione. E infatti in Sardegna si dimentica tutto. Chiedete ad un giovane chi era Angioi. Se ha sentito parlare di Cilocco. Se ha mai letto qualcosa di Bellieni o di Simon Mossa.
Il gruppo si crea in Sardegna solo se è piramidale. Se serve quindi a portare acqua ad un solo mulino. Per il resto abbiamo paura di essere oscurati da un nostro sodale e quindi preferiamo la strada in solitario. Che non porta a nulla di concreto, se non alla visibilità personale per chi la percorre.
Proprio nel mondo linguistico sardo si manifestano tristemente queste cose. Esistono tanti attori, Renato Soru era riuscito a unirli in un unico tavolo. Oggi sono tutti per conto loro. Alcuni di essi li ho amici su Facebook. Dove ci ignoriamo sistematicamente. Nessun supporto reciproco alle iniziative dell’altro, nessuna condivisione di intenti. Spesso neanche un like di incoraggiamento. Alcuni di essi non mi hanno neanche accettato la richiesta di amicizia.
È dura portare a compimento le vertenze se non ci unificano neanche ideali e finalità convergenti. Succede nel mondo linguistico, succede nella galassia sardista. Fin dalla mia prima iscrizione al PSd’Az ho predicato – nel deserto – la nascita di un’Assise permanente del mondo identitario, con finalità assolutamente non politiche o elettorali. Un luogo di incontro periodico per affinare gli obbiettivi, renderli condivisi, e creare appunto gruppi temporanei di supporto trasversale a determinate vertenze. Nessuno mi hai risposto, ogni leader interpellato ha furbamente declinato semplicemente ignorando l’idea. Idem nel mondo linguistico. Tutti contro tutti, e ognuno per sè.
Siamo fermi oggi al fallimento mediatico – solo mediatico, perché l’idea di fondo è ottima – della LSC, che invece di essere presentata per quello che è, ossia una grafia unitaria del sardo – avendo l’intelligenza di anticipare le prevedibili strumentalizzazioni degli sfascisti contrari alla lingua sarda – è passata nell’immaginario collettivo come una lingua inventata, creata a tavolino, da imporre in ogni paese in sostituzione della propria.
Un disastro mediatico incredibile. Una politica di marketing linguistico penosa e controproducente. Perché ha creato una prevedibile ribellione di massa e dunque un enorme consenso verso i dialettizzatori, talmente forti da riuscire, fin dai
tempi di Pugliaru, a imporre il folle progetto di 377 diverse lingue sarde, ognuna con la sua grafia particolare. La condanna a morte della millenaria lingua nazionale, in poche parole.
Il passo definitivo verso l’estinzione. Questo è lo stato dell’arte!
La cruda rappresentazione di come l’eccessivo individualismo dei sardi impedisca qualsiasi progresso in Sardegna. Il movimento sardista è diviso in mille gruppetti, spesso capitanati vita natural durante dallo stesso condottiero che non lascia spazio ai nuovi e anzi li soffoca.
E il consenso elettorale, che sommato da un valore non banale, si perde in mille rigagnoli. Come nel mondo linguistico, dove chi ha idee illuminate si barrica però in personali torri d’avorio, lasciando che il popolo venga sobillato da malefici incantatori di serpenti.
Cosa fare? Nel breve periodo attendere la proposta di Salvatore Deidda. Se proporrà programmi in lingua sarda alla Rai, in orari consoni e non alle 9 di mattina, se parlerà – togliendo l’alibi della LSC ai dialettizzatori – di una grafia unitaria del sardo comune, e di una analoga per il sardo-corso del nord dell’isola, se proporrà la creazione di un’Accademia della Crusca in salsa sarda che accresca il lessico in relazione alle esigenze comunicative dei tempi attuali, se porterà il
sardo a divenire materia effettiva nella scuola e lingua parificata all’italiano nella pubblica amministrazione, se vorrà porre, come fanno a Bolzano, la lingua particolare come elemento di vantaggio nei concorsi pubblici e negli appalti, in compensazione allo svantaggio di insularità, allora forse dovremo chiudere per sempre la pagina del sardismo, e diventare tutti nazionalisti italiani.
Iscrivendovi a Fratelli d’Italia, e diventando abili lobbisti come gli italiani. Non resta che attendere dunque novità da Roma, dove da sempre permettiamo che si decida il destino dei sardi!
Roberto Mette